DUE INCONTRI INTERESSANTI



Presentazione spettacolo integrale Fondati sul lavoro! Monza: un tessuto di memorie
Così come il primo spettacolo della trilogia, messo in scena nell’anno scolastico 2011/2012 (Fondati sul lavoro! Sesto San Giovanni, città delle fabbriche.), anche questa seconda rappresentazione scaturisce da un’attività di ricerca che ha visto coinvolti le classi del corso di Produzione cinematografica e televisiva dell’IIS-IPSIA di Monza.  La drammaturgia, originale, prevede musiche dal vivo, attinte dal repertorio del canto popolare, video creati dagli stessi studenti dell’IIS-IPSIA di Monza, montaggi di spezzoni di opere cinematografiche, fotografie, immagini di opere pittoriche, una scenografia volutamente essenziale.
Con Fondati sul lavoro! Monza: un tessuto di memorie,  il Progetto prosegue il suo percorso teatrale multimediale, riattualizzando un'avvincente storia comunitaria, quella della città di Monza, protagonista del processo di modernizzazione del Paese a cavallo tra Ottocento e Novecento con il suo veloce passaggio dalla dimensione agricola alla dimensione industriale. L'epopea dei cappellifici monzesi, dell`orgoglio imprenditoriale e delle rivendicazioni operaie sta al centro di questa trasformazione. L’antica arte della lavorazione della lana e poi dei cappelli di feltro conosce in quel tempo, infatti, una radicale metamorfosi con la meccanizzazione delle varie fasi produttive; lo stesso slancio si ritrova nelle industrie tessili cotoniere. Ma la città di Monza è anche teatro dell’uccisione del re Umberto I di Savoia da parte dell’anarchico Gaetano Bresci, evento traumatico con cui si apre il nuovo secolo. Il Novecento sembra avviato al progresso sociale  con la serie di successi ottenuti dalle classi lavoratrici. A Monza, grazie anche all’opera di Ettore Reina, la categoria dei cappellai è la prima a ottenere in Italia un contratto collettivo. La Monza di oggi dialoga con la Monza di ieri per affrontare le sfide del presente.    
La struttura dello spettacolo comprende sei scene: Al filò mette in risalto la vita sociale dei contadini della Brianza, le fatiche del lavoro, le credenze, le paure, la quotidiana lotta con la povertà. Al mercato restituisce l’atmosfera vivace e produttivamente caotica di una mattinata in Piazza Mercato a Monza agli inizi del Novecento, tra richiami di venditori, accese contrattazioni di bestiame, attrazioni vecchie e nuove, incontri, soste all’osteria. Al Lambro rimarca il profondo e complesso legame tra la città e il suo fiume, le cui acque hanno sì irrigato i campi,  animato mulini, filande, prestato forza motrice per la follatura e tintura dei panni di lana, favorito la ricchezza del territorio, ma lo hanno anche inondato e devastato con piene improvvise e spaventose.  I cappellifici conduce nello spazio della fabbrica, del lavoro alle cardine, alle informatrici, alle presse, tra vapore bollente e polvere dei feltri. Il punto di vista dell’imprenditore Giuseppe Cambiaghi e quello di un operaio del cappello si confrontano alla presenza di un “coro” di operai che hanno maturato una coscienza sindacale e chiedono con forza un cambiamento delle loro condizioni. Monza dai moti del 1898 all’uccisione di Umberto I  è incentrata sulla figura del segretario della Federazione Nazionale Cappellai Ettore Reina, che all’indomani della firma del primo contratto di lavoro per gli operai del cappello rievoca la crisi di fine secolo, le manifestazioni popolari, la sanguinosa repressione militare fino al tragico epilogo del regicidio. I successivi filmati sulla biografia di Gaetano Bresci e sugli atti del processo all’anarchico  lasciano il posto al monologo di Sofia Bresci, con il quale la scena si chiude.  Monza oggi  sposta lo sguardo sul presente: un gruppo di giovani monzesi si confronta con le difficoltà imposte dalla crisi economica, ma nel rivendicare  il diritto al lavoro, respinge posizioni rinunciatarie per immaginare un possibile futuro, costruito con inventiva e coraggio.
L’impronta sociale dello spettacolo è sottolineata nel finale, che vede lo spettatore inserito fisicamente e mentalmente nel circuito della rappresentazione. La festa della Giubiana, figura della tradizione popolare che incarna la brutta stagione, i mali della comunità, le forze negative, viene recuperata e  trasformata in   esorcismo anti-crisi,  rito propiziatorio per invocare una  nuova primavera, inventare un nuovo mondo. I confini imprecisi tra attori e pubblico vengono rimarcati da un momento conviviale a base di sapori antichi della Brianza.


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